Incontro del 30 giugno 2014 Milano Casa circondariale San Vittore.
Le città di Ottavia e di Teodora.
Azalen Tomaselli, Leandro Gennari e Simon Pietro De Domenico con le persone detenute.
Insieme varcano il portone e salgono al sesto secondo, dove sono
informati dal bibliotecario della momentanea inagibilità dell’aula,
occupata da un altro corso. Nell’attesa vengono radunati i
partecipanti nel corridoio, dove un giovane detenuto saluta Azalen e,
scusandosi per avere disertato il corso, le racconta le sue traversie
giudiziarie.
Trascorsi alcuni minuti si entra, ma per il sottofondo
che giunge dall’esterno e per il rimbombo delle stesse voci,
all’interno, si chiede di potere utilizzare la biblioteca, dove
l’acustica è migliore. Autorizzata la richiesta, Azalen legge il
testo composto da Renata, specificando che lo ha volto dalla prima
alla terza persona per uniformarsi a un unico registro narrativo.
Conclusa la lettura, accolta dalla approvazione generale, Simone
inizia ufficialmente l’incontro mostrando il libro di Leandro
Gennari Curare. Idee per una nuova sanità, edito da Mursia. Lo
stesso Leandro legge al gruppo il primo breve capitolo per spiegare
cosa l’abbia convinto a parlare della sanità senza preconcetti,
dopo sessant’anni spesi in corsia e in sala operatoria. I
partecipanti ascoltano interessati l’incipit di questo brillante
saggio che mette in discussione lo strapotere della scienza nella
nostra società ipertecnologica.
Il gruppo decide di dedicare il prossimo incontro alla presentazione del libro di Leandro, oggi si prosegue il lavoro su Le città invisibili.
Simone illustra il programma
dell’incontro: la lettura di due città invisibili tratte dalla
raccolta di Calvino, intercalata dalla lettura dei tre testi prodotti
dai partecipanti. Simone raccomanda, per uniformarsi al modello, di
usare la terza persona e di porre al centro, come protagonista, la
città, con la sua rappresentazione planimetrica, per fare
trasparire, spiega, attraverso la descrizione dello spazio fisico,
alcune verità.
Poi propone di assegnare a ogni città un nome di
donna, come nell’originale testo di Calvino. E’ a questo punto
che Renata esclama: “Il mio nome l’ho trovato, è Afrodite”.
Giovanni in eco dice: “Io la chiamerò Penelope" e Luigi di seguito:
“La mia Adikea il nome ce l’ha già, si chiama Vittoria”.
La città di Ottavia
Simone legge un esempio tratto delle città sottili, in cui si parla
di Ottavia, la città ragnatela, sospesa su un abisso, dove in barba
alla precarietà la vita è meno incerta che in altre realtà urbane.
Al termine, lo stesso Simone stimola il gruppo a scoprire la
metafora.
Il primo a parlare è Giovanni che dice “Non siamo quello
che vogliamo apparire”. A Simone che gli chiede di spiegare il
perché di questo suo curioso binomio di precarietà e falsa
apparenza risponde: “Il fatto che tutto è appeso dimostra che si
vuol sembrare quello che non si è e che si vive su quello che
vogliono gli altri”.
Leandro mette l’accento sull’obbligo di
sopravvivere fondando la propria esistenza su qualcosa che non si
avvererà, è una città che non dà certezze ma alla quale ognuno è
legato.
Luigi intravede il lato politico della metafora: "E’ una
città in cui devi fare quello che comanda il governo, mi sembra una
città socialista”. Simone incalza: “Tutto è appeso sotto, cosa
vuol dire?” Giovanni risponde prontamente: “La personalità sta
sotto, camuffata dall’apparenza”.
Renata che è rimasta in
silenzio si decide a dire la sua: “Per me è una metafora del
carcere. Anche qui tutto è precario e i sacchi sono appesi”.
Azalen approva e soggiunge che per lei il testo parla della
possibilità di riconoscere la vulnerabilità e l’incertezza che
caratterizza ogni uomo e della necessità di misurarsi con questi
limiti, senza negarli.
Simone sintetizzando conclude: "il tema è la
precarietà: in Ottavia la gente vive serena perché è libera
dall’illusione delle certezze".
Al termine della discussione è
Giovanni a leggere la sua Adikea, la città oscura. Un luogo
labirintico e opprimente dove il visitatore scopre il valore del
tempo e dell’amicizia. Segue la lettura di Michael che ha finito il
suo testo, dove Adikea è trasfigurata in un orribile e angosciante
villaggio vacanze.
La città di Teodora
Simone ripropone una seconda città invisibile. E’
Teodora, la città travagliata da invasioni ricorrenti di animali di
tutte le specie: condor, serpenti, ragni, mosche, ratti, che l’uomo
con il suo ingegno micidiale riesce a debellare.
E per custodire solo
il ricordo della fauna annientata lo stesso uomo conserva i tomi che
ne parlano. Invano, perché proprio dagli scantinati della
biblioteca sbuca fuori un’altra fauna di esseri mitologici che
torna a invadere la città e ne prende possesso.
Il brano spiazza
l’uditorio, ma a poco a poco si prova a dare un significato a
questa città, che appartiene alla serie delle città nascoste.
Luigi
vi riconosce una valenza politica e dice: “Hanno lottato per la
repressione dei loro governanti, aspiravano alla libertà, alla
tranquillità” Simone gli chiede cosa rappresentino per lui gli
animali mitologici. “Rappresentano la corruzione”. Azalen afferma
che gli animali rappresentano il male, connaturato all’uomo,
impossibile da debellare, perché quando si coltiva l’illusione di
averlo definitivamente eliminato viene fuori.
Simone a questo punto
richiama l’attenzione sul particolare che la fauna più minacciosa
viene fuori dalla biblioteca. La genesi di questo nuovo male prende
forma e si crea nei luoghi più insospettabili, nei luoghi deputati
alla cultura.
Leandro annota che l'uomo è il produttore del male e
avrà sempre da lottare, anche se si illude. Il male c’è sempre,
conclude, e l’uomo è impotente nella lotta definitiva.
Alla fine
della discussione è Simone a osservare che il testo ha stimolato
interpretazioni diverse, ma tutte giuste, perché un testo che
funziona è polisemico e si offre a svariate chiavi di lettura.
A
conclusione si legge il resoconto, questa volta lasciato in coda e
salutato da uno scherzoso applauso, orchestrato da John che ha
promesso che comporrà anche lui la sua città, sospesa tre metri
sopra il cielo. Il tempo è terminato e i saluti concludono
l’incontro con l’invito a ritrovarsi tra una settimana.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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