lunedì 7 luglio 2014

I nomi delle città invisibili

Incontro del 30 giugno 2014 Milano Casa circondariale San Vittore. 
Le città di Ottavia e di Teodora.
Azalen Tomaselli, Leandro Gennari Simon Pietro De Domenico con le persone detenute.
Oggi caldo meno soffocante a Milano, dopo la pioggia che ieri ha lavato la città Azalen e Simone scorgono in lontananza il braccio levato di Leandro Gennari “in panchina”, il quale, avvicinandosi, mostra loro il suo libro fresco di stampa. 

Insieme varcano il portone e salgono al sesto secondo, dove sono informati dal bibliotecario della momentanea inagibilità dell’aula, occupata da un altro corso. Nell’attesa vengono radunati i partecipanti nel corridoio, dove un giovane detenuto saluta Azalen e, scusandosi per avere disertato il corso, le racconta le sue traversie giudiziarie. 

Trascorsi alcuni minuti si entra, ma per il sottofondo che giunge dall’esterno e per il rimbombo delle stesse voci, all’interno, si chiede di potere utilizzare la biblioteca, dove l’acustica è migliore. Autorizzata la richiesta, Azalen legge il testo composto da Renata, specificando che lo ha volto dalla prima alla terza persona per uniformarsi a un unico registro narrativo. 

Conclusa la lettura, accolta dalla approvazione generale, Simone inizia ufficialmente l’incontro mostrando il libro di Leandro Gennari Curare. Idee per una nuova sanità, edito da Mursia. Lo stesso Leandro legge al gruppo il primo breve capitolo per spiegare cosa l’abbia convinto a parlare della sanità senza preconcetti, dopo sessant’anni spesi in corsia e in sala operatoria. I partecipanti ascoltano interessati l’incipit di questo brillante saggio che mette in discussione lo strapotere della scienza nella nostra società ipertecnologica.
Il gruppo decide di dedicare il prossimo incontro alla presentazione del libro di Leandro, oggi si prosegue il lavoro su Le città invisibili

(Per i precedenti incontri vedi: 5 maggio, 12 maggio, 9 giugno, 16 giugno, 23 giugno)

Simone illustra il programma dell’incontro: la lettura di due città invisibili tratte dalla raccolta di Calvino, intercalata dalla lettura dei tre testi prodotti dai partecipanti. Simone raccomanda, per uniformarsi al modello, di usare la terza persona e di porre al centro, come protagonista, la città, con la sua rappresentazione planimetrica, per fare trasparire, spiega, attraverso la descrizione dello spazio fisico, alcune verità. 

Poi propone di assegnare a ogni città un nome di donna, come nell’originale testo di Calvino. E’ a questo punto che Renata esclama: “Il mio nome l’ho trovato, è Afrodite”. 
Giovanni in eco dice: “Io la chiamerò Penelope" e Luigi di seguito: “La mia Adikea il nome ce l’ha già, si chiama Vittoria”. 

La città di Ottavia

Simone legge un esempio tratto delle città sottili, in cui si parla di Ottavia, la città ragnatela, sospesa su un abisso, dove in barba alla precarietà la vita è meno incerta che in altre realtà urbane. Al termine, lo stesso Simone stimola il gruppo a scoprire la metafora. 

Il primo a parlare è Giovanni che dice “Non siamo quello che vogliamo apparire”. A Simone che gli chiede di spiegare il perché di questo suo curioso binomio di precarietà e falsa apparenza risponde: “Il fatto che tutto è appeso dimostra che si vuol sembrare quello che non si è e che si vive su quello che vogliono gli altri”. 

Leandro mette l’accento sull’obbligo di sopravvivere fondando la propria esistenza su qualcosa che non si avvererà, è una città che non dà certezze ma alla quale ognuno è legato. 

Luigi intravede il lato politico della metafora: "E’ una città in cui devi fare quello che comanda il governo, mi sembra una città socialista”. Simone incalza: “Tutto è appeso sotto, cosa vuol dire?” Giovanni risponde prontamente: “La personalità sta sotto, camuffata dall’apparenza”. 

Renata che è rimasta in silenzio si decide a dire la sua: “Per me è una metafora del carcere. Anche qui tutto è precario e i sacchi sono appesi”. Azalen approva e soggiunge che per lei il testo parla della possibilità di riconoscere la vulnerabilità e l’incertezza che caratterizza ogni uomo e della necessità di misurarsi con questi limiti, senza negarli. 

Simone sintetizzando conclude: "il tema è la precarietà: in Ottavia la gente vive serena perché è libera dall’illusione delle certezze"

Al termine della discussione è Giovanni a leggere la sua Adikea, la città oscura. Un luogo labirintico e opprimente dove il visitatore scopre il valore del tempo e dell’amicizia. Segue la lettura di Michael che ha finito il suo testo, dove Adikea è trasfigurata in un orribile e angosciante villaggio vacanze. 

La città di Teodora

Simone ripropone una seconda città invisibile. E’ Teodora, la città travagliata da invasioni ricorrenti di animali di tutte le specie: condor, serpenti, ragni, mosche, ratti, che l’uomo con il suo ingegno micidiale riesce a debellare. 

E per custodire solo il ricordo della fauna annientata lo stesso uomo conserva i tomi che ne parlano. Invano, perché proprio dagli scantinati della biblioteca sbuca fuori un’altra fauna di esseri mitologici che torna a invadere la città e ne prende possesso. 

Il brano spiazza l’uditorio, ma a poco a poco si prova a dare un significato a questa città, che appartiene alla serie delle città nascoste. 

Luigi vi riconosce una valenza politica e dice: “Hanno lottato per la repressione dei loro governanti, aspiravano alla libertà, alla tranquillità” Simone gli chiede cosa rappresentino per lui gli animali mitologici. “Rappresentano la corruzione”. Azalen afferma che gli animali rappresentano il male, connaturato all’uomo, impossibile da debellare, perché quando si coltiva l’illusione di averlo definitivamente eliminato viene fuori. 

Simone a questo punto richiama l’attenzione sul particolare che la fauna più minacciosa viene fuori dalla biblioteca. La genesi di questo nuovo male prende forma e si crea nei luoghi più insospettabili, nei luoghi deputati alla cultura. 

Leandro annota che l'uomo è il produttore del male e avrà sempre da lottare, anche se si illude. Il male c’è sempre, conclude, e l’uomo è impotente nella lotta definitiva. 

Alla fine della discussione è Simone a osservare che il testo ha stimolato interpretazioni diverse, ma tutte giuste, perché un testo che funziona è polisemico e si offre a svariate chiavi di lettura. 

A conclusione si legge il resoconto, questa volta lasciato in coda e salutato da uno scherzoso applauso, orchestrato da John che ha promesso che comporrà anche lui la sua città, sospesa tre metri sopra il cielo. Il tempo è terminato e i saluti concludono l’incontro con l’invito a ritrovarsi tra una settimana.

* I nomi dei detenuti sono di fantasia

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