giovedì 3 luglio 2014

Le prospettive delle città invisibili

Incontro del 23 giugno 2014 Milano Casa circondariale San Vittore. 
Le città di Cloe e di Valdrada.
Iginia Busisi Scaglia, Azalen Tomaselli, Leandro Gennari Simon Pietro De Domenico con le persone detenute.
L’estate è già qui, col suo caldo torrido, ma la città ha i soliti ritmi. Nelle strade riecheggia il rombo dei motori. Bisognerà attendere agosto per l’esodo vacanziero, quando il virus della desertificazione renderà i pochi rimasti simili a sopravvissuti a una guerra atomica

Azalen, Simone, Leandro Gennari e Iginia Busisi Scaglia varcano il portone di San Vittore. L’incontro prende il via dalla lettura consueta del resoconto. Iginia alla fine commenta che è dettagliato e i partecipanti approvano. 

Poi Simone legge al gruppo l’Adikea composta da Giorgio Cesati che ha come sottotesto analogico quella incompleta descritta a voce da Renata (nell’incontro precedente). E’ un sottile gioco di allusioni che come frecce congiungono pensieri e emozioni, mischiandoli. 

Subito dopo La stessa Renata legge il suo testo finito. La lettura prosegue con il testo di Carol che oggi ha preferito andare all’aria. 

Simone ribadisce il senso del progetto su Le città invisibili, valorizzando il concetto di città inclusiva che contenga prospettive diverse, partendo da un modulo letterario e usando la metafora, questa complessità è una ricchezza. Iginia aggiunge che può ricalcare la scrittura delle prose poetiche, o prose d’arte. E’ un invito a scrivere e non deve essere letto come una costrizione, sottolinea ancora Simone. 

Si inserisce Leandro sostenendo che ogni reportage può esprimere una visione del mondo, un atteggiamento differente in quanto c’è dietro l’esperienza della vita vissuta. Poi parla della diversità dello sguardo di un giovane, di una persona matura di un uomo e di una donna. Confrontando la generazione di oggi con la sua generazione, afferma che la civiltà procede e il giovane è più propenso a criticare che a emulare. 

Simone osserva che quello di Calvino è un libro poliedrico e affascinante che ha impegnato lo scrittore per anni. Nato per caso dagli appunti raccolti meticolosamente in cartelle dove registrava le su intuizioni. E’ frutto di una stratificazione dove le annotazioni sono colorate di stati d’animo felici e infelici e mettono in risalto lati diversi delle città invisibili. 

Attraverso la voce di Marco Polo e dell’imperatore dei Tartari, si parla di uomini e di ciò che spinge gli uomini a vivere insieme. Simone suggerisce di scrivere in terza persona per rompere la visione introspettiva. 

La città di Cloe

Poi legge un esempio tratto dal volume. Tratta di Cloe, una città dove le persone non si conoscono e dove qualcosa corre tra gli individui e come frecce li collega l’uno all’altro in mille combinazioni, fino a esaurirle tutte. “Una vibrazione lussuriosa” attraversa la città senza che le persone si sfiorino con un dito. Cloe è la più casta tra le città. Se i sogni si trasformassero in vita vissuta, gli uomini sarebbero presi in una sarabanda di inseguimenti, di finzioni, di malintesi, di oppressioni e la giostra della fantasia si fermerebbe. 

Luigi commenta che Cloe è una città dove si spreca il tempo della vita, perché mancano rapporti e affinità tra i suoi abitanti. Simone chiede allora “Perché si spreca il tempo?” 

Leandro parla delle manifestazioni egoistiche di chi è in una posizione critica, mentre l’ideale sarebbe realizzare quello che si rimugina, parla di chi è pieno di qualcosa di irraggiungibile e esaspera le evidenze negative della vita quotidiana. 

È un’irrisolvibile immaginazione di realtà che non ci sono, la città dell’utopia. Per Iginia in questo vedersi e non parlarsi potrebbe affiorare la paura dell’altro. 

Giovanni paragona Cloe a ciò cui si assiste nelle metropoli moderne. “Zombi alle otto di mattina alla metropolitana di Piazza Loreto, una città di tossici che vivono nel loro mondo parallelo”. 

Simone riprende le parole di Luigi sul tempo che si spreca, precisando: ”Se noi non interagiamo, noi non viviamo. Il rischio è di non vivere la vita” 

Azalen rimasta in silenzio, scombina le carte e afferma che il rischio non è l’incomunicabilità ma il rapporto con l’altro, quando dal sogno si passa alla realtà, i fantasmi si trasformano in persone e la giostra della fantasia si ferma. Come quando ci si innamora e si proietta sull’altro un’immagine ideale per poi scoprire di avere amato un riflesso di noi stessi. Iginia approva: “Quando vivi di fantasie parti per la tangente”. 

Ma Renata replica che tutti noi viviamo di fantasie e una sua amica, dice che sono essenziali per andare avanti. Il gruppo si divide sull’abbandonarsi alla fantasia e sull’affrontare l’urto con la realtà. 

Un partecipante parla della sua esperienza di volontariato a contatto con realtà urbane degradate, ma Simone richiama al tema della città e legge un secondo esempio. 

La città di Valdrada

Valdrada, una città che ha uno sviluppo verticale e si specchia nelle acque di un lago. Gli abitanti sanno che i loro atti sono duplicati nell’immagine speculare e che niente si perde essi non possono affidarsi al caso o all’oblio. 

Il lago come un immenso occhio, a volte accresce il valore delle cose, ma a volte lo nega. Simone propone di scoprire la metafora di Valdrada. 

Alcuni partecipanti osservano: “Una delle due città speculari è la nostra visione, l’altra riflessa è la visione degli altri”. "Le due città non sono uguali, si guardano ma non si amano”, sottolinea Simone. Giuseppe dice: ”È come quando ti vedi allo specchio, non ti piace la tua immagine”. 

Luigi osserva: "questa città si annulla nel buio, esiste a condizione di essere rispecchiata". E Iginia sulla stessa onda, parla del vento che può intorbidare le acque del lago. 

Jerry interpreta a suo modo: “la città riflessa è l’inconscio” azzarda. Il gruppo concorda sulla interpretazione delle due città come di due o più punti prospettici, che si corrispondono, ma non combaciano mai. Ciò che soggettivamente è importante può essere secondario per gli altri. 

Luigi, infine legge una sua poesia Amore è buono, seguito a ruota da iginia che conclude rammentando come alla nascita siamo tutti come delle lavagne, poi incidiamo un segno, un altro, un graffio, la lavagna è tutta piena della nostra vita ma siamo tutti delle lavagne diverse. 

Infine la poetessa saluta i partecipanti perché partirà in vacanza con i nipotini. Con calorose strette di mano il gruppo si scioglie con il proposito di ritrovarsi per conversare e riflettere insieme come una cerchia di amici.

* I nomi dei detenuti sono di fantasia

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