sabato 13 luglio 2013

Il giudice e il suo boia

Incontro del 2 luglio 2013 Milano Casa circondariale San Vittore. 
Il giudice e il suo boia di Friedrich Durrenmatt. 
Azalen Tomaselli con i detenuti.
Oggi l’aria estiva penetra anche tra le mura di San Vittore. I detenuti sono all’aria. Sono solo tre i partecipanti. Azalen, data la mancanza di ospiti, propone un libro di Friedrich Dürrenmatt Il giudice e il suo boia e una preghiera tratta da La morte non esiste, testo autobiografico del popolare comico, Pippo Franco. Una lettera indirizzata da Giorgio Cesati Cassin ai detenuti suscita un momento di forte emozione. Dopo la lettura del resoconto uno dei partecipanti rileva che non tutto è stato riportato. 


Mancano infatti le considerazioni sulla disumanità della condizione carceraria, che quasi sempre emergono nel dibattito. Dibattito che si svolge sul senso (se ne ha) di una giustizia solo retributiva. Una giustizia finalizzata solo a escludere e ridurre all’inattività persone che dovrebbero essere restituite alla società. Qualcuno mette a fuoco il problema della contribuzione del detenuto al suo mantenimento, segnalando carenze connesse alla qualità del vitto. Poi Azalen presenta il giallo di Dürrenmatt. La storia di un commissario il quale, sebbene gravemente malato, indaga sul delitto - sulle prime inspiegabile - di un suo tenente di polizia. Al capitano viene affiancato un poliziotto che svolge abilmente le ricerche fino a risalire a un losco avventuriero che l’ufficiale assassinato stava sorvegliando sotto mentite spoglie. Nello scioglimento del giallo si scopre un insolito cambiamento di ruoli. Il commissario è a sua volta un giudice che condanna a morte un assassino servendosi di un boia, cioè del poliziotto inducendolo a effettuare l’esecuzione. L’intreccio macchinoso della storia rivela che tra il commissario e l’avventuriero c’è una vecchia conoscenza, dovuta a una scommessa che i due avevano fatto sulla possibilità di commettere il male sfuggendo al braccio della legge.

Un tema alla Dostoievskij sulla gratuità del male e sul ruolo del caso che possono rendere inefficace la possibilità di coglierne la logica e di scovare il colpevole. Per dimostrare il suo teorema l’avventuriero uccide senza una ragione, sotto gli occhi del commissario, un uomo lanciandolo nel fiume. Il commissario decide di giustiziarlo e lo fa punendolo per un delitto che non ha commesso e usando come sicario, proprio il vero colpevole, cioè il poliziotto che lo affiancava nelle indagini. Questi a sua volta smascherato dallo stesso commissario, alla fine della storia si impicca, mentre il “giudice” muore avendo rinunciato a operarsi, per chiudere la partita con il suo vecchio rivale. Il romanzo giocato sul paradosso getta un’ombra sul funzionamento della giustizia che spinge a volte inconsapevolmente chi la rappresenta a tradirla in nome di fedi e di convinzioni che trascendono i compiti che le spettano. La lettura della preghiera che conclude il libro di Pippo Franco porta poi alla importanza di usare la parola con parsimonia e di cercare nel silenzio la condizione per scoprire la verità che ognuno custodisce dentro di sé, inattingibile a ogni altra forma di conoscenza e di giustizia umana. Saluti e strette di mani concludono, come sempre, l’incontro del libroforum.


* I nomi dei detenuti sono di fantasia 

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