mercoledì 28 novembre 2012

Perché tutti scrivono e pochi leggono?

Riflessioni sulla condizione dei detenuti del sesto secondo di San Vittore
di Giorgio Cesati Cassin

Mi sono chiesto perché oggi tutti scrivono e pochi leggono. Una risposta precisa non l’ho trovata, però sono giunto ad alcune conclusioni che mi appaiono accettabili. Da accanito lettore ho un po’ scoperto l’acqua calda; scrivere, come dipingere e infinite altre attività creative, hanno dei fini individuabili, per esempio quello di lasciare un segno della propria esistenza, ma anche altri. Più i tempi sono confusi e caotici, più sembra corroborarsi la voglia di emergere, di farsi notare, di uscire da una insopportabile anonimità. Poco importa che io legga, più importante è che gli altri mi leggano, adesso e poi anche dopo. Scrivere è terapeutico, cura le nostre nevrosi, a volte i risultati sono ottimi, altre no, quasi ci fosse una conclamata farmaco resistenza. Qualcuno potrà dirmi che non tutti scrivono. Lapalissiano, non tutti sono ammalati, una cospicua parte dell’umanità non lo è, soprattutto non tutti soffrono della stessa malattia. 




Queste considerazioni sono emerse prepotenti alla superficie della mia coscienza da quando, con Azalen e Simone, frequento i detenuti di San Vittore, in particolare quelli del sesto raggio. Al cogito ergo sum ho sostituito il scribo ergo sum, e la risposta mi è apparsa chiara. Che cosa affligge in particolare modo questi uomini, che cosa mi ha colpito fin dalla prima volta che ho messo piede in quel triste luogo di sofferenza? La risposta è stata immediata, l’angoscia dell’immobilità. Privati non solo della libertà, ma costretti in anguste celle, persino in sei insieme, beneficiari di poche ore d’aria tra due muri grigi e altissimi che li stringono in una sorta di mortale triangolo, sempre tra loro del sesto secondo, odiati dagli altri detenuti, i loro movimenti sono più che limitati, sono quasi inesistenti. Mi sono apparsi dei minerali, dei manufatti privi di movimento, privi di vita. Stringendo le loro mani ho provato la sensazione di toccare l’inanimato, e il parlare loro della scrittura, il leggere loro i miei racconti, lo spingerli a scrivere è stato per me un po’come “muoverli”e “muovermi”, “sottrarli” e “sottrarmi” all’immobilità, risuscitarci, sì perché anch’io, nell’angusta stanza dove ci raduniamo, mi sentivo come loro. Silvio Pellico scrisse Le mie prigioni nel 1832, dopo dieci anni di carcere duro, quando ritornò a vivere, quando risuscitò. Ogni volta che la mia mano tocca un sasso, sorge in me il desiderio di lanciarlo; quante volte in riva a un lago, a uno specchio d’acqua non increspato dal vento, ho cercato una pietra rotonda e piatta per farla rimbalzare di striscio sulla sua superficie immota. Ho contato i salti che il sasso faceva prima di morire nuovamente e inabissarsi sul fondo. Per un attimo l’ho sottratto alla morte, gli ho fatto varcare il confine tra la vita e la morte, gli ho donato il movimento. La scrittura non è forse movimento? Sia che come un tempo si incida la pietra o si impugni il calamo, o come oggi si corra con le dita sui tasti di un computer? In entrambi i casi si lascia una “traccia” della nostra esistenza che avviene o che è avvenuta, cercando di sfuggire all’oblio. Scrivo, quindi esisto, la mia scrittura è quell’evento miracoloso che registra il moto della mia mano e del mio pensiero sull’immobilità del supporto, cartaceo o di pietra. Allora, qualcuno potrebbe osservare, la scrittura non è vita, è morte, e altrettanto lo sono la pittura, la scultura e infinite altre tracce dell’uomo…Non è così, basta che lo sguardo di qualcuno scorra le mie pagine, che i suoi occhi si muovano percorrendo le righe, che il suo pensiero riviva ciò che è scritto, dipinto o scolpito ed io risuscito come quel sasso che per un attimo rimbalza sulle acque immote dello stagno, trasmettendo anche ad esse in cerchi concentrici impulsi vitali. L’immobilità torna a pulsare, cose dette e ridette, arcinote, ma che sento il bisogno di risvegliare, qui, nel sesto raggio del carcere di san Vittore.

Nessun commento:

Posta un commento