Antonio Mercurio presenta la raccolta Lunaria, parlando di Soka Gakkai, karma e buddhità.
Antonio Mercurio, Giorgio Cesati Cassin, Azalen Tomaselli e Simon Pietro De Domenico con i detenuti e un liberante.
Oggi il cielo è una volta azzurra e luminosa, novembre ha disteso un tappeto di foglie gialle e arancione lungo i viali della città. Al sesto siamo indirizzati verso la stanzetta, perché la cella ospita il corso di trucco e parrucco. Simone, giunto in ritardo, è accolto con un applauso. Legge il resoconto concludendolo con le parole dedicate da Alda Merini alle detenute di San Vittore. Sono parole dolenti che offrono il primo spunto per la discussione, in particolar modo una frase colpisce i partecipanti: "..e forse la durezza delle leggi non potrà nulla contro la speranza che c’è in ognuno di noi.." Giorgio Cesati osserva, paragonandolo al dolore che, in base al pensiero della poetessa, dà nuova linfa alle nuove generazioni, che anche il chicco di grano nel momento in cui muore dà frutto e nutrimento alla pianta che germoglia. Mattia risponde con un moto trattenuto di ribellione: "Qua dentro la speranza è la voglia di cambiare". Il dialogo s’intreccia e si anima: per Simone quella della poetessa non è retorica perché il dolore è parte integrante della costruzione di una vita e serve anche per produrre esperienza. Giorgio che ha parlato del libro del figlio Marco, Non siamo qui per caso, avverte che bisogna interpretare tutte le coincidenze spiacevoli che ci capitano per trarne un significato. Replica Mattia sostenendo che il dolore più che veicolo di speranza è parte della vita e si dovrebbe trasformare in esperienza: "Siamo in un carcere, e ogni forma di imposizione non lascia spazio alla speranza. Io preferisco concretizzare, pensando alle pene che ho dato e ho ricevuto in una vita, nello stesso tempo ho un passato (negativo, non cronologico), non rinnego io il passato, lo considero negativo e non lo rinnego, lo metto nello zainetto". Antonio Mercurio, Giorgio Cesati Cassin, Azalen Tomaselli e Simon Pietro De Domenico con i detenuti e un liberante.
Giorgio Cesati procedendo in modo maieutico chiede a Mattia: "cos’è per te la speranza?" Il dialogo si fa fitto, "la speranza", risponde Mattia, "lasciando da parte la salute, è di trovare un giudice che sia anche uno psicologo". "Come ti senti?" Lo incalza, allora, Giorgio. "La mia speranza è un’utopia". Parlare di speranza nella condizione di carcerato, è un ossimoro, lascia intendere, e conclude asserendo che: "l’unica ora e mezza in cui sta bene è quella trascorsa al Libroforum a parlare. Non ne posso più di sentire sempre arabo", si sfoga, "anche se non sono un razzista, perché porto rispetto!" Una risata accoglie le sue parole. Mattia parla della sua vicenda giudiziaria e della impossibilità di essere curato in una comunità per le sue precarie condizioni fisiche. "Come ti senti?" Gli chiede ancora Giorgio. "Mi considero un uomo inutile, non perché mi ritenga tale ma per le condizioni in cui mi trovo", poi si confronta con il personaggio del racconto di Kafka Davanti la legge, (letto in un precedente incontro) in cui l’uomo di campagna trascorre tutta la vita per trovarsi davanti a una legge che gli appare inaccessibile, e muore senza avere la possibilità di conoscerla. Simone e Lozio replicano che le barriere erano fittizie e se avesse voluto avrebbe potuto varcare la soglia, in quanto il guardiano lo aveva informato della presenza di altri guardiani a custodia della legge, ma non gli aveva impedito l’accesso. Giorgio commenta che il destino si costruisce individualmente e gli fa eco Giocadinuovo.
Interviene poi Simone per presentare, Antonio Mercurio, rimasto silenzioso. Antonio Mercurio è un medico e uno scrittore, autore di un romanzo giallo Requiem nel bosco (già presentato al Libroforum in un precedente incontro) e di una bella raccolta di poesie, intitolata Lunaria, edita da Crocetti Editore. Questi interviene nel vivo della discussione, precisando che nel buddismo le sofferenze sono chiamate karma e costituiscono una specie di magazzino delle cause che abbiamo messo nel nostro percorso, un accumulo di quello che abbiamo alle spalle. Non esiste l’idea di un caso, siamo responsabili e possediamo un potere immenso di trasformare il dolore in gioia e il veleno in medicina. E’ come quando si macella il maiale e non si butta niente, così l’obiettivo è rendere l’uomo se stesso, liberando le sue potenzialità latenti. Noi non siamo separati, come individui, ma formiamo un tutt’uno con il quartiere, con la città, con lo stato, con i paesi vicini e lontani, con il mondo e con la natura.
La chiave per attingere a questa forza interiore è alla nostra portata, tutti possiamo raggiungere la condizione di Buddha, la felicità, con comportamenti adeguati, con il dialogo e le relazioni umane che costituiscono un bene prezioso, perché tutti gli uomini sono uguali e sono un valore inestimabile. Il buddismo si batte contro le disuguaglianze, le violenze, i soprusi, il forte potere economico, lo scempio dell’ambiente, l’arroganza del potere.
La chiave per attingere a questa forza interiore è alla nostra portata, tutti possiamo raggiungere la condizione di Buddha, la felicità, con comportamenti adeguati, con il dialogo e le relazioni umane che costituiscono un bene prezioso, perché tutti gli uomini sono uguali e sono un valore inestimabile. Il buddismo si batte contro le disuguaglianze, le violenze, i soprusi, il forte potere economico, lo scempio dell’ambiente, l’arroganza del potere.
Esistono quattro sofferenze che ci accomunano, esse sono: la nascita (anche entrare in carcere è una nascita), il declino, la malattia e la morte. Poi fa il paragone con il fuoco che si alimenta con i ceppi di legno, allo stesso modo, le sofferenze sono i ceppi che tengono viva la fiamma della vita. Ma qual è la chiave per ottenere la felicità? Secondo la Soka Gakkai (la disciplina seguita da Mercurio fondata da Tsunesaburo Makiguchi) E’ una frase giapponese che ha un suono perfetto e un immenso potere di trasformazione e produce in chi la recita una gioia immotivata: Namu myōhō renge kyō, l’invocazione riferita al titolo del Sutra del Loto della Legge Mistica, un testo composto tra il e il II sec. d.C. che alcune scuole sino-giapponesi ritengono raccolga gli insegnamenti degli ultimi otto anni di vita del Shakyamuni, il fondatore storico del buddismo vissuto alla fine del IV sec. A.C.
Mercurio spiega il significato di ogni singolo lemma iniziando da:
Mercurio spiega il significato di ogni singolo lemma iniziando da:
"Nam" che corrisponde a sono io, perché l’oggetto di culto contiene me stesso e io dedico la mia vita a una legge meravigliosa che è la legge della natura e di tutti i suoi fenomeni; non c’è separazione tra spirito e corpo che sono come due facce dello stessa medaglia.
"Renge" significa fiore di loto, ossia la causa e l’effetto, perché ogni fiore di loto quando sboccia porta il suo frutto. Inoltre questa pianta nasce nel fango della mondanità e si slancia verso l’alto, nel suo candore.
"Renge" significa fiore di loto, ossia la causa e l’effetto, perché ogni fiore di loto quando sboccia porta il suo frutto. Inoltre questa pianta nasce nel fango della mondanità e si slancia verso l’alto, nel suo candore.
"Kyo" significa azione e insegnamento. Il buddismo non permette all’uomo di essere passivo, ma ogni essere ha lo scopo di manifestare la propria natura e di farla emergere in tutti gli altri per creare valore.
A questo punto Mercurio racconta come il buddismo abbia sviluppato la sua vena artistica e legge alcune sue liriche. Mattia narra a sua volta di essere stato in India a contatto con la spiritualità del mondo orientale. "Anche nell’inferno di un carcere si può realizzare la buddhità", sostiene Antonio Mercurio, invitando i presenti a intraprendere questa nuova esperienza interiore. Giorgio, da psicoanalista, parla a sua volta dell’effetto auto ipnotico delle parole, rievocando i tempi in cui la messa era celebrata in latino e le vecchiette recitavano con devozione formule di cui non afferravano il senso. Poi ribadisce l’importanza del caso sostenendo che anche il carcere può considerarsi una coincidenza. La felicità per lui è essere sereni.
Mattia cita la lettera sulla felicità di Epicuro. Interviene Matthäus per confidare che è diventato pessimista e ha perso ogni entusiasmo, considera ormai la sua vita una continua sfida dalla madre affetta da un cancro, al tempo trascorso nel carcere duro di Novara, alla morte della sorella, una vita difficile.
Giocadinuovo parla della lontananza dal suo bambino di un anno e quattro mesi che sta crescendo senza il padre. Simone domanda a Mercurio se il buddismo sia caratterizzato da un ascetismo fondato sul distacco dalle cose. Ma Mercurio replica che questa visione è vecchia maniera non aderente allo spirito di questa pratica. Giorgio invita i partecipanti a non soccombere al destino citando l’esempio del paracadutista che conosce i pericoli ai quali può andare incontro, e distingue tra destino e fato, definendo quest’ultimo come un evento imprevedibile e ineluttabile, arbitrario, poi cita l’esempio del pezzo di cornicione che cade addosso mentre si cammina per strada. Mercurio di rimando sostiene che "nasciamo perché avevamo messo le cause, noi viviamo un segmento una fase manifesta di questo grande tutto, quando moriamo tutto sparisce, la morte è una fase di rigenerazione della energia della vita, siamo come un’onda che si solleva e poi si inabissa per diventare tutt’uno con l’oceano".
Mattia cita la lettera sulla felicità di Epicuro. Interviene Matthäus per confidare che è diventato pessimista e ha perso ogni entusiasmo, considera ormai la sua vita una continua sfida dalla madre affetta da un cancro, al tempo trascorso nel carcere duro di Novara, alla morte della sorella, una vita difficile.
Giocadinuovo parla della lontananza dal suo bambino di un anno e quattro mesi che sta crescendo senza il padre. Simone domanda a Mercurio se il buddismo sia caratterizzato da un ascetismo fondato sul distacco dalle cose. Ma Mercurio replica che questa visione è vecchia maniera non aderente allo spirito di questa pratica. Giorgio invita i partecipanti a non soccombere al destino citando l’esempio del paracadutista che conosce i pericoli ai quali può andare incontro, e distingue tra destino e fato, definendo quest’ultimo come un evento imprevedibile e ineluttabile, arbitrario, poi cita l’esempio del pezzo di cornicione che cade addosso mentre si cammina per strada. Mercurio di rimando sostiene che "nasciamo perché avevamo messo le cause, noi viviamo un segmento una fase manifesta di questo grande tutto, quando moriamo tutto sparisce, la morte è una fase di rigenerazione della energia della vita, siamo come un’onda che si solleva e poi si inabissa per diventare tutt’uno con l’oceano".
Poi prosegue: "Il karma non si estingue perché la natura di Buddha è infinita. Così avviene per noi che passiamo da uno stato vitale all’altro, adesso siamo nello studio e tutti gli altri stati sono latenti". I saluti concludono l’incontro, particolarmente calorosi con Lozio che è liberante e ha promesso di seguirci sul nostro blog da uomo libero.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
Nessun commento:
Posta un commento