martedì 6 novembre 2012

Kafka e le sue lettere alla bambola viaggiatrice

Incontro del 29 ottobre 2012 Milano Casa circondariale San Vittore. 
Franz Kafka tra lettere scritte a bambole smarrite e racconti sull'ostruzionismo del potere
Azalen Tomaselli e Simon Pietro De Domenico con i detenuti
Oggi una corrente di aria fredda avvolge Milano. Il cielo è limpido, sgombro di nuvole. Ormai la stanzetta è sostituita dalla cella sgombra, unico arredo del passato: due tristi pensili arancione. Azalen e Simone con la chitarra attendono i detenuti. Arrivano, come al solito alla spicciolata. Simone legge il resoconto del precedente incontro, ormai diventato la storia del gruppo, mentre Azalen cerca di registrare nell’espressione dei presenti il consenso agli interventi e alle parole riportate. Dopo qualche commento sul resoconto, Simone inizia proponendo Io sono Dio di Mauro Righi (www.maurorighi.it), un poeta già venuto a San Vittore a un incontro del Libroforum al terzo raggio. Il testo, dichiaratamente provocatorio, è una gustosa caricatura della presuntuosa e puerile onnipotenza della società di oggi in cui il Dio di turno come uno tsunami plasma un mondo a sua immagine e somiglianza. Un mondo abitato da uomini senza capelli e da donne con scarpe in "plessiglass" e con tacco 15, dove un Dio annoiato gioca a monopoli con le inutili esistenze e per ingannare il tedio mette le montagne al posto del mare. "E’ un malato mentale", il primo commento a caldo di Roman. Simone riscontra nella poesia un gusto gaberiano, poi per entrare nel vivo e introdurre l'autore di cui si parlerà oggi, propone in seconda battuta un frammento tratto da Follie di Brooklin di Paul Auster , in cui si parla degli ultimi mesi della vita di Franz Kafka




E’ il racconto di un curioso episodio della biografia di questo grande autore che ha trascorso l’ultimo anno della sua esistenza (il 1923) a Berlino, insieme all’unica donna con cui ha convissuto, Dora Dymant, una ventiduenne ebrea polacca. Nonostante sia fiaccato da una grave malattia (muore l’anno seguente in un sanatorio presso Vienna), Kafka vive uno dei periodi più felici della sua tormentata vita, rischiarato dall’amore per Dora. Forse questa ritrovata felicità è la cornice dell’episodio raccontato da Auster. Vi si narra che Kafka durante una delle sue passeggiate nel parco incontri una bambina in lacrime, inconsolabile. Colpito, le chiede che cosa le sia successo e la bambina gli risponde che ha perduto la bambola. Prontamente lo scrittore la rassicura che la bambola se n’è andata e all’incredulità della bambina che gli chiede come possa saperlo le replica che la bambola gli ha scritto una lettera. La bambina allora gli chiede di mostrargliela, ma Kafka risponde che non l’ha con sé e che gliela porterà l’indomani. Tornato a casa, lo scrittore dedica tutto il suo impegno e il suo prodigioso talento a scrivere la lettera in cui la bambola spiega alla bambina che si era stancata di vivere nello stesso posto e che voleva fare nuove esperienze. L’indomani la consegna alla sua piccola amica e così fa nei giorni successivi. Alla fine deve trovare un finale ma non vuole ferire la bambina e decide di scriverle che la bambola si congeda da lei perché si è sposata e sta bene. Quando consegna quest’ultima lettera alla bambina questa risponde che è guarita e non soffre più per la perdita del suo giocattolo. Auster si chiede che uomo doveva essere quello che, giunto alla fine della sua vita, ha dedicato tante energie e tanta arte nello scrivere le finte lettere di una bambola. E si risponde che Kafka aveva regalato alla bambina una storia. L’episodio dà l’occasione a varie osservazioni. Qualcuno solleva la questione se Kafka abbia ingannato la bambina, Lozio rileva che si è adattato al mondo della bambina, con intenti anche educativi. La perdita di un giocattolo ha un valore enorme. Matthäus sottolinea la capacità di immedesimarsi, naturale per uno scrittore. Simone riconosce l'importanza della conclusione di questo breve racconto e chiede ai partecipanti che cosa voglia dire Auster quando afferma che la bambina ora è felice perché vive in una storia. Dopo qualche timido commento, Azalen prende la parola e risponde che la storia rappresenta la possibilità di inserire la propria esistenza in un contesto che va oltre la concretezza di quanto ci accade. Ognuno è la storia che si racconta. Dare una storia è come dare un significato, un possibile senso. Giocadinuovo parla dell’importanza dell’immaginazione e racconta di quando lo chiamavano Doraemon. Si era identificato con questo gatto robot e voleva appropriarsi di questa illusione di “potere tutto”. Lozio replica che ognuno deve elaborare i limiti e parla dei ragazzi che stanno nella sua cella e somigliano a dei bambini perché non hanno coscienza di questi limiti: nella sua crescita un uomo deve affrontare la vita e deve prendere su di sé sia la fantasia sia la realtà, questi due poli non sono scindibili. Giocadinuovo racconta che lui viveva in un mondo affrancato dalla realtà, nella vita illegale, e spiega le ragioni che l’hanno indotto a scegliersi un nuovo nome. Per Giocasano e perché lui sente che può cambiare gioco e sfruttare quello che l’esperienza gli ha insegnato, può ricominciare anche se adesso è in standby; sorridendo Lozio gli fa eco: anche lui si considera in letargo. Molti sostengono che la galera non solo non sia un deterrente ma che al contrario spesso renda persone normali che magari hanno commesso qualche errore  criminali. Matthäus dice che ha fatto una vita bella, grazie alla criminalità, ma dopo la galera dura (Novara) ha deciso di dare uno stop. Se fossi stato al terzo raggio, mi sarei ingigantito e poi racconta che è stato a Bollate per diciotto anni. Qualcuno commenta: "un oratorio". Giocadinuovo sostiene di non ricordare niente di quando era bambino. Avrebbe voluto fare il poliziotto, ma quando ha visto i poliziotti portare via suo padre per un litigio violento con la madre ha cambiato idea. Simone legge un racconto di Kafka Davanti la legge. La storia di un uomo di campagna che vorrebbe arrivare alla legge ma trascorre il tempo che lo separa dalla morte nell’attesa di varcare la soglia della legge, custodita da un guardiano. L’uomo potrebbe entrare ma sa che altri guardiani sono stati messi a impedirgli di proseguire e quando sta per morire il guardiano chiude definitivamente la porta di un accesso che - come gli rivela alla fine - è riservato solo a lui. Il racconto evoca l’ambivalente irraggiungibilità di un potere che si sostiene sulla sua enigmatica e incolmabile distanza. Matthäus a Azalen che parla di principi replica che la legge non è identificabile con i principi e distingue tra regola e legge. Per Lozio la legge sono le regole per consentire una convivenza civile, ma precisa è un discorso complesso. Nel racconto di Kafka è protagonista il nulla che si mostra fugacemente dietro la compatta e univoca certezza della realtà; la legge è la distanza dalla meta (inesistente, perché mai raggiunta ) dell’uomo semplice, l’attesa dilatata di afferrare un senso sempre sfuggente. La vita si polverizza in un protrarsi interminabile. Mattia dice che una vita deve essere inserita nella collettività perché abbia senso. Poi accenna alle sue vicende personali, le regole vanno rispettate, ma devono essere eque. Visibilmente commosso denuncia la distruzione morale a cui si sente sottoposto, per un suo sbaglio e accenna a soprusi arbitrari come quello di non avergli recapitato un libro, dono di suo padre, perché recante la sua dedica. Infine dichiara la sua età e scherza con Giocadinuovo perché li separano vent’anni, l’età di un figlio. Poi dice a se stesso: se non maturo adesso.. gli fa eco Giocadinuovo: Voglio diventare maturo. La lettura dei testi composti in forma di preghiera - su esplicito invito di Iginia Busisi Scaglia - da Lozio e da Giocadinuovo concludono l'incontro.

* I nomi dei detenuti sono di fantasia

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