Come vivono gli agenti della polizia penitenziaria?
Liberante è un blog che vuole dare
voce ai detenuti, ma che ha l'intento di fare conoscere ai suoi
lettori una realtà più ampia del complesso e sfaccettato sistema
che è il carcere.
Il presente articolo intendo dedicarlo
agli appartenenti al corpo della polizia penitenziaria.
Vengono impropriamente chiamati agenti
di custodia o AC (acronimo usato in particolare dai detenuti), a
volte chiamati persino secondini, termine denigratorio e
fortunatamente in disuso.
Qui in Lombardia ho incontrato
personale gentile e preparato, così come agenti arroganti e
maleducati, che si sentono in diritto di trattare con gratuita
rudezza detenuti e volontari, in primo luogo per imporre la propria
autorità! Fortunatamente a prevalere sono i primi, e a parziale
scusante dei secondi c'è da dire che spesso sono tra i più giovani
e ancora non hanno appreso l'umanità e la sensibilità, che un
lavoro importante e delicato come il loro richiede.
I detenuti stessi esprimono gratitudine
verso quegli ispettori che hanno a cuore la loro dignità, verso
quegli agenti che si rivolgono loro con rispetto e comprensione. Sono
uomini e donne che hanno sbagliato e che giustamente stanno
scontando la loro pena, ma che non meritano di soffrire niente di
più. Non è già abbastanza terribile essere privati della propria
libertà?
Alcuni di essi mi raccontano di agenti
che li trattano con indelicatezza e astiosità ma mi raccontano anche
di agenti che nei momenti più difficili hanno saputo aiutarli,
confortandoli, dissuadendoli dal “fare sciocchezze”. In Italia il
carcere ha una funzione rieducativa e riabilitativa, e sono certo che
la maggior parte degli appartenenti al corpo della polizia
penitenziaria sia consapevole di questa valenza etica e che si
impegni a dare il suo contributo in tal senso. Come sottolineato, è un lavoro che
richiede grande umanità, ma anche equilibrio e stabilità psichica.
In istituti di pena difficili, come quello di San Vittore, un numero
esiguo di agenti è incaricato di gestire un numero esponenzialmente
enorme di detenuti che ha i più svariati problemi. Deve saper sedare liti in condizioni di
convivenza difficilissima, deve saper interloquire con detenuti che
hanno o contraggono patologie psichiatriche, deve far rispettare le
regole ma deve anche saper comprendere persone che hanno perso tutto
e che hanno l'incarico di controllare con turni di lavoro faticosi.
Anche emotivamente è un lavoro
usurante, che alla lunga può compromettere la salute, col suo
continuo logorio psicologico, con lo stress di dover gestire
dinamiche complesse. Il carcere è un luogo di dolore, e anche se
questo dolore è patito da altri nessuno vi è impermeabile. Il
carcere segna, e non serve essere individui dotati di straordinario
senso della pietas o di grande sensibilità e empatia, basta avere
umanità per essere contagiati da questa profonda tristezza. Gli
agenti per sopportare questa atmosfera opprimente non hanno bisogno
di diventare cinici, devono essere forti. Questo è un lavoro
difficile. Davvero molto difficile.
Notizia di pochi giorni fa è che
l'assistente capo della polizia penitenziaria in servizio a Avellino
si è tolta la vita. In Italia dal 2000 a oggi si sono tolti la vita
100 poliziotti penitenziari. Certamente molti di loro avranno avuto
anche problemi di natura personale, ma davvero la logorante
esperienza del carcere non ha nessun collegamento con questi tragici
esiti?
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