domenica 13 novembre 2011

Vita in carcere

Incontro del 31 ottobre Milano Casa circondariale San Vittore
Vita in carcere
Simon Pietro De Domenico con i detenuti
La vita in carcere è un argomento che è difficile passare sotto silenzio. Qualcuno dice che la disperazione contagia anche il personale della polizia penitenziaria e riporta una notizia che fa riflettere: 54 appuntati suicidati in 10 anni. (fonte non verificata)
Sono carcerati anche loro, devono sorbire tutti i problemi, confrontarsi con detenuti violenti, o semplicemente fuori di testa. I turni di lavoro sono pesantissimi per mancanza di personale, durante la notte non possono neanche sdraiarsi come i medici ospedalieri, perché la sorveglianza deve essere continua e sono anche loro sorvegliati dalle telecamere. I poliziotti si confrontano ogni giorno con una realtà degradante per quanto si cerchi di gestirla al meglio , soprattutto per mancanza di risorse finanziarie. Sembra che il male sia sistemico e non legato alle singole persone. 




Si contestano alcuni aspetti mortificanti: carta igienica, un rotolo ogni due settimane, lenzuola, il cambio delle lenzuola ogni tre settimane, manca la biancheria e i materassi sono a volte sudici, per alcuni detenuti c’è un problema di vestiario. Nelle celle è vietato l’uso dello stenditoio, i panni bagnati non si possono appoggiare sui caloriferi. Rispetto a queste “regole” c’è chi chiude un occhio e chi sa fare la battuta per alleggerire l’atmosfera pesante. Qualcuno osserva che il carcere permette un incontro tra culture diverse. E’ un microcosmo dove convivono usanze, lingue, costumi, credenze, religioni di varie etnie, è un’occasione per conoscere mondi di cui si ignorerebbe l’esistenza. Questa considerazione fa venire in mente le guerre che mettono in contatto popoli diversi. Poi si parla delle discriminazioni tra gli stessi detenuti, qualcuno viene subito accontentato, altri hanno attese stellari per ottenere ciò che chiedono. Non mancano coloro che sottolineano l’umanità di certi ispettori e di certi agenti da cui si sono sentiti aiutati e in momenti drammatici anche salvati. Si parla delle discriminazioni nei confronti dei trans che non possono avere contatti con gli altri e dei gay che stanno tra loro. C’è un codice carcerario che ha anch’esso le sue regole per cui un rapinatore omosessuale non può stare con gli altri rapinatori etero, senza rischio. Qualche detenuto dice che preferisce parlare con i trans e che li rispetta e si indigna per il modo in cui vengono insultati anche da alcuni AC. I brasiliani sono tanti e dopo avere scontato la pena sono espulsi dall’Italia. Insomma, dicono alcuni detenuti, se guardiamo alla realtà del nostro sistema penitenziario il nostro non è proprio all’altezza della sua fama di “Bel paese”.

Tutte queste considerazioni sono state espresse dai detenuti e io le riporto come testimonianze che non ho modo di verificare personalmente.

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