lunedì 21 ottobre 2013

La gioia di vivere

Incontro del 14 ottobre 2013 Milano Casa circondariale San Vittore. 
La gioia di vivere è anche saper fare tesoro delle esperienze negative.
Azalen Tomaselli, Giorgio Cesati Cassin e Simon Pietro De Domenico con i detenuti.
Oggi sul cielo si stende una trama di nuvole grigie, che pervade di malinconia. Al sesto secondo Giorgio, Simone e Azalen trovano il piccolo gruppo del Libroforum. Qualcuno è nuovo e si presenta, entrando. Gio informa che Zero mancherà perché si è iscritto a un altro corso. Si parla dei corsi considerati più utili e viene fuori l'esigenza di avere conoscenze sulle norme di legge, sul diritto. Simone precisa: "anche sui diritti dei detenuti", riscuotendo il consenso dei presenti. Poi si riprende un argomento che era stato già in parte discusso, durante l'ultimo incontro : “come ottenere il rispetto per garantire una serena convivenza e, soprattutto, come non reagire alle provocazioni?


Un detenuto afferma che anche la sopportazione ha dei limiti, oltrepassati i quali, si perde il controllo, racconta di una sua esperienza con un compagno di cella. Giorgio dice di sé: “Sono reattivo alle ingiustizie, però faccio le rimostranze e non reagisco” Sottintende che si possono fare valere le proprie ragioni senza trascendere e senza ricorrere all'uso della violenza. Poi sembra interrogarsi. Cosa conviene fare di fronte alla iattanza di chi vuole esercitare il proprio dominio? La sua ricetta non è preconfezionata, ci sono vari modi. Lui evita una reazione simmetrica “distraendo la mente; la scrittura", precisa "è una fuga". Poi scherza: “ Quando ho finito di scrivere, soffro di crisi post partum, mi sento vuoto, non ho la montata lattea, sono in attesa di un'idea perché per me la scrittura è una salvezza”. Qualcuno dei partecipanti rileva che in carcere i rapporti non sono paritari e il detenuto è visto come un mostro. Giorgio allora tira fuori un articolo apparso sul Corriere, chedendo se le situazioni descritte corrispondano alla effettiva realtà del sesto secondo. L'articolo è stato mandato al giornale da un ex imprenditore, vittima di un errore giudiziario (processato in contumacia per bancarotta fraudolenta, pare per un difetto di notifica), reduce da un soggiorno di quaranta giorni nelle patrie galere.


La lettera-denuncia è un elenco di tutte le storture e le disfunzioni del pianeta carcere: disagi fisici e morali, spazi insufficienti, omertà, impossibilità di essere occupati in un lavoro, burocrazia, mancanza di tutto quanto necessità, tranne che si sia disposto a acquistarlo, ritardo nella consegna della corrispondenza, difficoltà di stare a colloquio con i propri familiari e altro. Giorgio chiede per ogni punto se occorre fare rettifiche perché vuole scrivere al giornale. 

Gio sostiene che ci sono delle esagerazioni, e parla del suo caso personale. Ammette che per potere parlare con l'ispettore si attendono mesi, che nel mese di agosto il personale è carente. Ma precisa che la prevenzione da alcune malattie si fa per prassi (i test) e che lui è ben curato. Poi riconosce alcuno disagi come la coda che i parenti devono fare per avere un colloquio, (alcuni di loro partono alle cinque del mattino). Inoltre, in carcere si sviluppa un forte spirito di solidarietà, i più indigenti sono aiutati. La sua convinzione è che rispettando gli altri si ottiene rispetto. 

Simone a questo proposito racconta di reagire facilmente alle provocazioni. Alcuni partecipanti, spiegano che se non reagiscono o non si fanno sentire non vengono presi in considerazione. Per esempio, per ottenere un proprio diritto si deve a volte ricorrere allo sciopero della sete e della fame, oppure gridare. Un detenuto su richiesta di Azalen che ha notato il suo blocco notes legge l'inizio del suo romanzo che ha come protagonista un vecchio leone. 

Poi Simone propone di leggere un brano teatrale da Spettri, di Henrik Ibsen. Nel brano Osvald un giovane colpito da una tara familiare, rinfaccia alla madre di essersi sentito oppresso nella propria casa, accusandola di avere tolto ai suoi cari la gioia di vivere.

Giorgio racconta che questo “sistema carcerario” era avvertito dal suo fratellino che lo invidiava, pensando che lui fosse il più amato, mentre Giorgio lo vedeva come l'intruso e il rompiscatole. "Un giorno mio fratello, ancora piccolo, fa la sua valigetta e i miei genitori si mettono a ridere vedendolo allontanarsi, allora lui scoppia in lacrime e torna indietro, vinto”. 

Bisogna smettere di pensare a una ricompensa da parte degli altri, fare per se stessi è la soluzione migliore, soggiunge. Azalen chiede ai partecipandi di dire cosa sia per loro la gioia di vivere e se l'hanno mai provata. 

Un partecipante risponde che per lui è il figlio, la famiglia. Poi John racconta la propria vicenda, e afferma che prima aveva la gioia di vivere. Poi quando ha conosciuto la galera e è diventato recidivo ha perso la stima e la possibilità di riscattarsi perché i poliziotti “ti incollano anche il furto che non hai commesso”. Poi parla di come sia cambiata la situazione in Italia dal 2006. “Oggi non c'è lavoro, la Giustizia non funziona, litigano in Parlamento”. 

Simone, ascoltate queste storie, dice”Passare momenti difficili è vivere; tutto è parte di ciò che diventiamo, dobbiamo affrontare le esperienze negative che tutti più o meno attraversiamo. La gioia di vivere dipende anche dal fare materia costruttiva di ciò che ci accade, non bisogna perdere tempo”. Questo scambio cambia la direzione degli interventi 

Gio infatti dice: “Sto mettendo a fuoco la mia situazione, come potrebbe andare a finire, affrontare e ricostruire il rapporto con mia figlia e una vita”. Poi confida: “Rischio di perdere il lavoro, ho due genitori morenti, ma non voglio perdere la speranza.”. Giorgio gli fa eco: “Bisogna pensare che questa storia finirà e che cosa farete una volta fuori?" Il dubbio e l'interrogativo su come la società accoglie chi ha infranto la legge, rimane aperto. 

L'incontro si conclude con calorose strette di mano.

* I nomi dei detenuti sono di fantasia 










Nessun commento:

Posta un commento