martedì 15 ottobre 2013

I detenuti commentano la trasmissione Piazza Verdi

Incontro del 8 ottobre 2013 Milano Casa circondariale San Vittore. 
Come i detenuti giudicano l'informazione sul carcere. Si parla abbastanza di ingiustizie e degrado?
Azalen Tomaselli e Simon Pietro De Domenico con i detenuti.
Una pioggia sottile riga l'aria di settembre. Al sesto secondo, entriamo in una saletta rettangolare. Un giro di sedie attorno a un tavolo dove troneggia un vaso fiorito. I partecipanti arrivano uno alla volta. Dopo i saluti, Simone legge il resoconto e l'articolo pubblicato sulla trasmissione di Piazza verdi (www.piazzaverdi.rai.it). Le reazioni sono tiepide. E Simone domanda: "Cosa pensate di questo modo di fare conoscere la realtà carceraria?" Le risposte sono immediate e lievemente risentite. Gio afferma: "Quella che si racconta è una realtà che non esiste, presenta gente che viene riabilitata e che rappresenta l'uno per cento della popolazione. Si dovrebbe dare risalto a quanto la reclusione peggiori le persone". Un altro partecipante sostiene: "Il problema non è la privazione della libertà che, in linea teorica è giustificabile, è la privazione della dignità, 21 ore in cinque, chiusi in una cella, la tua parola che non esiste; queste presentazioni servono alla demagogia politica. Perché non si parla di come sono i cessi all'aria?" Zero ammette che ci sono dei benefici, come l'articolo 21, ma bisogna avere certe caratteristiche. Mitiga: "Non bisogna fare di tutte le erbe un fascio".
I partecipanti insistono sulla impossibilità di descrivere una realtà "che va provata sulla pelle" per essere tradotta in parole. 



Simone replica che la stampa e i media hanno dato ampio spazio al problema del nostro sistema carcerario, disumano, un'onta per un Paese che vorrebbe essere annoverato tra i paesi civili. Poi accenna alle sanzioni minacciate dalla UE. 

Aggiunge anche che è importante fare riferimento a quanto di costruttivo si possa generare anche in un contesto degradato. "E' una questione di marketing" precisa provocatoriamente, "al cittadino comune, non frega niente dei disagi vissuti dai detenuti, al contrario li considera un giusto contraccambio per avere violato le regole del vivere civile." Quello che secondo Simone è importante, è far recepire alla gente l'utilità di un percorso risocializzante che restituisca persone in grado di contribuire al bene collettivo.

Bisogna far passare il messaggio che questi interventi all'interno degli istituti penitenziari, rappresentano un'opportunità non soltanto per i detenuti, ma anche per quei cittadini che invocano maggiore sicurezza. Il fatto incontrovertibile è che prima o poi tutti i detenuti usciranno, e sarà preferibile che siano persone migliorate piuttosto che incattivite e animate da voglia di vendicarsi per le ingiustizie subite. 

Per questa ragione Simone, ritiene che articoli di questo genere possano far maggiore presa sull'opinione pubblica, rispetto a articoli di denuncia delle disfunzioni del sistema. Alcuni detenuti convengono con questa tesi, altri rimangono nella convinzione che si voglia dare un'immagine edulcorata del carcere, al solo scopo di mettere a fuoco solo i pochi aspetti positivi della macchina penitenziaria.

Zero ribadisce che i carcerati sono in attesa di una burocrazia lunga che schiaccia i diritti fondamentali, ma che l'istituzione cerca di dare degli psicologi, dei volontari, "un vitto che non pagheremo mai". 

Un partecipante mette il dito su ciò che accade al detenuto quando finisce di scontare la pena: "Sei costretto a rubare, per sopravvivere perché devi provvedere a una moglie e a dei figli, non c'è scelta." La prima volta in galera è un ricordo che non può cancellare: "in cella con un marocchino che si taglia. Mi hanno picchiato in sette, per castigo sono stato messo con otto zingari, ho trascorso 30 giorni che sono sembrati sei mesi!". 

Poi vengono denunciati soprusi, commessi da chi condivide lo stesso disagio di un sistema malato. Molti fanno riferimento a episodi di maltrattamento, chiamando in causa il personale penitenziario. "C'è un abuso di potere enorme." commenta un detenuto. Una voce un po' fuori dal coro è quella di Zero che racconta: "Non ho mai preso un rapporto, non mi è mai successo niente, non ho mai accettato l'affronto." L'altro accenna a minacce larvate. 

Azalen rilancia il discorso, chiedendo "Qualcosa di positivo?" "Niente" è la risposta all'unisono.  Poi un detenuto cercando di mitigare: "Non vogliamo denigrare il vostro operato, ma questi messaggi non hanno senso." Zero soggiunge di volere ringraziare i volontari, gli operatori, i parenti che spendono i soldi per alleviare le sofferenze. 

Simone concede che soluzioni immediate non esistono, ma informa che dalle statistiche emerge una ridotta recidiva da parte dei detenuti che frequentano corsi. Il dibattito si sposta sulla classe politica e sulle spese che un imputato è costretto a sostenere per difendersi, alimentando un mercato che prolifera ai margini delle disgrazie altrui. 

Nell'ultima fase dell'incontro nasce un dibattito acceso tra Simone che afferma: "Vedo la storia, l'Italia è passata per momenti di crisi e si è ripresa; bisogna credere nella cittadinanza attiva, siamo tutti responsabili." e un o dei partecipanti che replica "Non c'è speranza".

Zero lancia un messaggio positivo: "Se le persone risparmiano ce la fanno, dobbiamo cambiare tutti." Il detenuto che ha raccontato la sua breve storia accenna alle lungaggini del sistema giudiziario che pone davanti alla scelta di dovere barattare la propria vita onesta per mantenere il proprio lavoro, si patteggia per non rischiare di perdere il lavoro.. 

Al termine Simone ribadisce la proposta di spostare il giorno del Libroforum. Cordiali strette di mano concludono, come sempre, l'incontro.

* I nomi dei detenuti sono di fantasia 

Nessun commento:

Posta un commento