venerdì 5 aprile 2013

Giancarlo Pontiggia e Il respiro del mondo

Incontro del 25 marzo 2013 Milano Casa circondariale San Vittore. 
Giancarlo Pontiggia ascolta la radio che trasmette le canzoni dei detenuti 
Giancarlo Pontiggia, Azalen Tomaselli, Simon Pietro De Domenico con i detenuti.
Un arabesco di fitte nuvole sorvola la città. Nell’aria un chiarore grigio e monotono richiama le atmosfere di vecchi film di Renoir. Giancarlo Pontiggia varca con Azalen il portone di San Vittore per unirsi a Simone già in matricola. Al sesto, l’aula-cella è impegnata, ma si entra puntualmente in attesa che giungano i partecipanti. Arrivano solo in quattro, molti sono malati o all’aria - riferisce con aria da cospiratore - il bibliotecario. Come di rito, Azalen legge il resoconto. Al termine, commentandolo, Giancarlo Pontiggia lo paragona al suono gracchiante della radio che ascoltava di notte, quando era ancora un ragazzo, e essendo figlio unico, passava molte ore da solo. In quelle voci che si inanellavano misteriosamente spiega di avere individuato il primo sintomo di una vocazione poetica dispiegatasi con il tempo: ”La poesia è nata per me dal fascino di quelle voci straniere piene di verità, intervallate da musiche di vario tipo.. di quei mondi di cui non sapremo mai niente, un immenso di cieli e di terre” che mi hanno suggerito “la voglia di scrivere e pensare”, precisa. 




Zero riferendosi al paragone con la radio commenta: "il resoconto che leggiamo è come una radio che trasmette le nostre canzoni”, ci permette di scoprire qualcosa che non sappiamo . Guido precisa che la radio, con la sua babele di lingue rappresenta “il respiro del mondo” e ci collega con la complessità dei suoi microcosmi. Giancarlo Pontiggia chiarisce però che è un respiro del mondo che arriva senza filtri, lo si accoglie senza pregiudizi, come fanno i bambini che non distinguono tra grande e piccolo. 

E’ sempre Guido a riferire a questo punto di una sua esperienza a conferma della possibilità di arrivare a percepire cose sconosciute. Ricorda una città vista dall’alto delle torri, da un osservatorio che faceva spaziare lo sguardo. Ma Giancarlo Pontiggia, replica che è l’ascoltare (senza vedere) le voci notturne che arrivano da questa scatolina a amplificarne il senso, perché “non si ha il limite dello sguardo”. Nell’Infinito di Leopardi, soggiunge, accade la stessa cosa: proprio la presenza della siepe, ostruendo la vista della vallata, permette al poeta di oltrepassare i confini dello spazio e del tempo. 

Zero, riguardo alla facoltà di immaginare, afferma: “Io non sono quella persona che sembro di essere. L’immaginazione è un inganno. L’inganno è quello che usiamo fare quando non abbiamo niente”. Ma Guido gli ribatte che immaginare non è un inganno, è la facoltà di protendersi verso qualcosa che non si sa bene che cosa sia” “E’ come chiudere gli occhi e crearsi il film, hai la possibilità di raccontare, è come dire che esiste questo mondo che stai raccontando” approva Zero. Giancarlo Pontiggia sottolinea che inganno ha anche un’accezione positiva, Leopardi parlava infatti di “dolci inganni”. Poi chiede ai partecipanti: "Perché fare poesia? Perché fare poesia è creare una forma esatta dove tutto è perfetto, concentrare in poche parole un sentimento del mondo che ci sfugge. Aprirsi all’infinità e creare una forma per dare ordine. La poesia è paradossale, parla di un’impossibilità". 

Iena in disaccordo risponde che la vita è un grande bluff, in quanto siamo inadeguati e pensiamo di non esserlo. Così ci spingiamo sempre più in là e cerchiamo di ragionare per infinito. Lo creiamo perché non riusciamo a definirlo. Ma l’ospite prosegue: “La poesia ha la stessa forma della preghiera, penso al divino che non posso pensare e lo penso dentro la forma della preghiera, lo metto qui e ho stabilito un ponte”. Il discorso suscita interesse e Zero osserva: E’ bello pensare poesia e preghiera insieme. Un altro partecipante soggiunge: "Vedi l’aldilà che ha l’al di qua perché non riesci a immaginare il nulla". Zero conferma: “Paradiso vuol dire terra”. Animabella che ha ascoltato in silenzio strimpellando la chitarra chiede a un tratto: “Adesso dove viviamo?” 

Il dialogo si intreccia e a Zero per il quale “noi siamo carnali e non possiamo trasformarci in angeli”, Iena ribatte che Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza. Il riferimento teologico a Lucifero tentatore e adescatore porta Animabella a dire in tono dubitativo “Se mi metto d’accordo con Satana esco di qui”. La domanda sul senso del dolore fa da ponte per la discussione. Il messaggio rivoluzionario del Cristianesimo, lo si può interpretare anche come un mito, è quello di un Dio che si fa uomo e si mette al livello delle persone per farsi partecipe delle loro sofferenze, è la conclusione incisiva di Giancarlo Pontiggia, dopo l’animato confronto fra convinzioni diverse. 

Ma dal tema generale si scivola verso le vicende individuali. “E’ pesantissimo pensare che riescono a trovare una via, una gabola per tenerti qua dentro", riprende Animabella, "il diavolo o ti chiede di fare quello che ti dice lui o ti tiene dentro. Non si scollerà mai da me fin quando non farò ciò che chiede. Oggi mi sento più pesante, vorrei potere scontare la pena a casa mia con le persone che mi vogliono bene”. Per Zero il diavolo è il nostro lato negativo La lettura delle liriche Preghiera per andare in paradiso con gli asini e Rosario di Francis Jammes, tratte dal volume Il crocifisso del poeta, tradotto da Giancarlo Pontiggia, interrompe il corso delle riflessioni sul rapporto tra bene e male. 

La prima lirica, dall’andamento fiabesco, è un’invocazione rivolta a Dio. Francis Jammes chiede di giungere in paradiso “ché non c’è inferno nel paese di Dio” con i suoi grandi amici asini e di rimanere con loro “tra ruscelli ombrosi” e “ciliegie che ridono”, "nell’amoroso cerchio dell’eternità". La seconda lirica è, invece, una commossa rappresentazione dei dolori e delle pene che straziano sia gli uomini sia le bestie. Come nei grani di un rosario,il poeta snoda, in una lunga carrellata, le sofferenze del giusto guardato alla stregua dell’assassino, l’umiliazione dell’innocente punito, la malattia che colpisce il bimbo innocente, la vecchiaia, la povertà, e tutti gli obbrobri e gli abusi che attanagliano l’umanità. "Nella catena della sofferenza vi è anche chi è imputato per una cosa che non ha fatto", commenta Giancarlo Pontiggia. 

Una poesia dello stesso Pontiggia: Bosco del tempo offre lo spunto per riflettere sul senso di straniamento cui ha accennato Guido. Ognuno di noi è tempo e memoria, c’è anche il tempo degli altri e il tempo della storia, ci muoviamo in uno spazio perdendoci e ritrovandoci continuamente, spiega l’autore. Nel testo il bosco è una metafora della vita collegata all’idea di ombra, e la vita si configura come un percorso che inizia dalle origini, quando non c’è nulla e arriva al presente, stratificato dentro di noi. 

Zero mette insieme Socrate che esorta a conoscere se stessi e Einstein con la sua teoria del rapporto tra spazio e tempo. L’ospite dopo avere affermato che: “La nostra vita è molto più fatta di immaginazione”, domanda: “Che cosa è più vero quello che facciamo o sono più vere le cose che desideriamo?” Iena risponde che noi, a differenza di tutti gli altri esseri siamo pensanti. Pensiamo che non possiamo essere infiniti, ma tendiamo a essere Dio, nella politica e nell’esercizio del potere e nella stessa criminalità per superare i limiti e prevaricare sul prossimo. Animabella chiede: "Chi è stato cacciato dal Paradiso per avere voluto essere uguale a Dio?" Lucifero che ha commesso il peccato dei peccati, gli rispondono Giancarlo Pontiggia e gli altri partecipanti. Iena attualizza la scelta dell’angelo ribelle paragonandola all’ambizione sfrenata e avida che ci porta a pretendere anche le cose che non potremmo avere. Guido gli replica che non c’è una voce che ti comanda o un grande teorizzatore ma alla radice c’é il desiderio di colmare un vuoto che viene riempito continuamente da qualcuno o da qualcosa. 

Il ragionamento successivo verte sul rapporto tra la libertà e gli eccessi, condizionati dalla nostra cultura edonistica. Pontiggia chiede “Che cosa vuol dire essere liberi? Possiamo dividere in due parti tutte le cose che ci accadono, la libertà non si può vivere sulle cose che non puoi controllare, ci sono cose che dipendono da te. La libertà morale riguarda la tua interiorità”. “E’ così facile vivere, anche nella pover!” esclama Animabella. Iena allora confida che fuori dal contesto carcerario non era in grado di riconoscere certi valori, “Qua dentro ho scoperto le cose essenziali come il valore della famiglia, della fede e dell’educazione" e racconta un episodio avvenuto in cella tra due detenuti, uno giovane e l’altro anziano. Zero commenta: "Siamo tutti degli eremiti qua dentro" e Guido in eco: "Siamo soli con noi stessi"

Verso la fine dell’incontro Giancarlo Pontiggia legge altre due liriche tratte da una sua raccolta: la prima registra un’esperienza ordinaria, il momento in cui ci si addormenta e si entra in uno strano mondo simile a una curiosa terra di mezzo. La seconda parla della dolorosa scoperta del male, stigma dell’uscita dall’infanzia, attraverso un ricordo dell’autore bambino: “Il male un giorno vidi, il male puro e assoluto come una pena oscura, non per lui ma per me”. E’ il momento in cui “guardi te stesso e vedi la verità” commenta colpito un partecipante. Sono le note della canzone triste di Animabella, a concludere l’incontro insieme alle strette di mano e ai ringraziamenti calorosi all’ospite.

* I nomi dei detenuti sono di fantasia

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