Incontro del 18 luglio, Milano. Casa circondariale San Vittore
l'invisibilità e gli haiku
Alberto Figliolia declama le sue poesie e insegna come comporre haiku
Alberto Figliolia declama le sue poesie e insegna come comporre haiku
Il 18 luglio a Milano l’aria è fresca, salendo al secondo piano del Sesto si sentono gli schiamazzi che provengono dall’aria, dove forse stanno giocando a calcio.
Un detenuto del gruppo ci introduce nella sala dove le sedie sono disposte in cerchio, è opera di Roman che si è auto-incaricato del ruolo di organizzatore. Azalen, Giovanni, Alberto e Simone aspettano che arrivino i partecipanti, alla spicciolata, come sempre
Alberto Figliolia, poeta, giornalista free lance per varie testate, specializzato in cronaca sportiva, è ormai un art. 17, ha il permesso permanente per l’ingresso. Dopo qualche momento di presentazione Giacomo, uno dei detenuti, gli mostra un quaderno dove ha abbozzato la scaletta del romanzo che vuole scrivere. Gli altri parlottano e il clima si riscalda, è il momento di iniziare. Si parla di poesia.
Qualcuno dice che in carcere si scrive molto. Soprattutto lettere ai propri familiari. Il più giovane del gruppo, Mattia, dice che scrivere serve anche a scoprire delle cose a mettere ordine nei pensieri. Si parla di quello che aspetta alla fine della pena, Giacomo teme la difficoltà di un reinserimento a causa dei pregiudizi e del vuoto / assenza di uno Stato che non favorisce il ritorno in società.
Qualcuno dice che in carcere si scrive molto. Soprattutto lettere ai propri familiari. Il più giovane del gruppo, Mattia, dice che scrivere serve anche a scoprire delle cose a mettere ordine nei pensieri. Si parla di quello che aspetta alla fine della pena, Giacomo teme la difficoltà di un reinserimento a causa dei pregiudizi e del vuoto / assenza di uno Stato che non favorisce il ritorno in società.
I detenuti più anziani dicono di sentirsi tagliati fuori dal mondo del lavoro e di non avere nessuno sbocco e nessuna speranza. C’è chi parla di emarginazione, ma ci sono anche quelli che rifiutano questa etichetta. Si parla di amicizia, di amore dei figli, della moglie, dei genitori, di cose che contano veramente, nonostante tutto. Alberto racconta della sua esperienza di volontario nel progetto di scrittura creativa al carcere di Opera e esorta a i presenti a scrivere. Qualcuno dice che lo fa già. Eddie , un giovane africano esce e ritorna con un quaderno dove ha annotato dei pensieri in inglese. Simone traduce alcuni scritti che parlano del figlio e della moglie, e di una possibile evasione rappresentata dal sogno. Applausi per Eddie
Segue il turno di Alberto che si alza e declama alcune sue poesie. Applausi. Poi riprendendo il suo invito a scrivere propone di comporre degli haiku. L’haiku è nato e si è sviluppato in Giappone nel corso dei secoli come forma di poesia completa di 17 sillabe in grado di condensare un intero quadro di vita in soli tre versi. (J. Kerouac). Dopo una spiegazione della struttura, tutti compongono un haiku. Prima di lasciarci Alberto nota un libro dalla biblioteca di Robert Silverberg e consiglia la lettura di un suo racconto di fantascienza, “Il marchio dell’invisibile” in cui si parla di un futuro in cui alcune persone sono condannate all’invisibilità. Non una vera invisibilità, ma un marchio impresso sulla fronte dei condannati che obbliga chi passa loro accanto a fare finta di non vederli. Rappresentazione della più desolante solitudine nella quale molti detenuti hanno ravvisato la loro stessa condizione.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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