venerdì 9 gennaio 2015

La provocazione

Incontro del 18 dicembre 2014 Milano Casa circondariale San Vittore. 

La provocazione.
Azalen Tomaselli,Giorgio Cesati, Leandro Gennari, Iginia BusisiSimon Pietro De Domenico con le persone detenute.

L.H.O.O.Q - Marcel Duchamp (1919)


Provocazione (etimologia): s. f. [dal lat. provocatio -onis (der. di provocare: v. provocare), che significava, oltre che «invito alla lotta, sfida al combattimento o a un duello», anche «appello a un giudice superiore»].

Provocazione (significato): Treccani


Oggi l’approssimarsi del Natale, si avverte nel viavai festoso sulle strade, dove persone con grossi involti si affrettano a rientrare a casa e nei volti sorridenti dei passanti che rispecchiano l’attesa delle feste in arrivo. Perfino lo strombazzare dei clacson e il rombo dei motori aggiungono una nota di insolita allegria al tran tran quotidiano. 

Azalen, Simone, Giorgio, Iginia e Leandro si ritrovano nello spiazzo alberato e insieme varcano il portone di San Vittore per salire al sesto secondo. 

Dopo la lettura del resoconto, l’argomento introdotto a corollario del bullismo è la provocazione

Fatta una breve nota sulle origini della parola da pro = avanti e voco = chiamare si cerca di circoscriverne l’ambito del discorso, limitandolo all’analisi di quella strategia comunicativa realizzata ad arte per destabilizzare l’equilibrio dell’altro. 

La provocazione è infatti una tecnica adottata in modo consapevole e a volte inconscio che fa uso del linguaggio gestuale e verbale, per raggiunge lo scopo di svilire l’avversario prescelto. 

Qualche partecipante osserva che la provocazione non è necessariamente negativa citando l’esempio della provocazione sessuale usata per risvegliare il desiderio nel partner o in chiunque si voglia sollecitare o la provocazione intellettuale. 

Adam dice che alcune volte può essere stimolante per la vittima e che il destinatario può scegliere di non raccogliere l’attacco verbale o agito e, conseguentemente di non reagire. 

Per Marcel la provocazione è sostanzialmente un mezzo per raggiungere uno scopo e per valutare la forza dell’avversario con cui ci si misura, è un metro di valutazione, in previsione di uno scontro o fine a se stessa. 

Giorgio commenta che, se ricondotta al fenomeno del bullismo, richiede una relazione asimmetrica, ma Adam racconta che da bullo affrontava anche quelli che erano il doppio di lui e Simone sostiene che può manifestarsi come forma di violenza nei confronti del più forte. 

Max parla del campanilismo, caratterizzato da rivalità tra paesi e città vicine, e ne sottolinea l’aspetto di confronto e di comparazione tra realtà simili e in competizione tra loro. 

Namyar mette in luce il carattere subdolo che la provocazione può assumere, quando è agita per porsi in condizione di vantaggio, il provocatore lavora di nascosto, per arrivare allo scopo in modo intelligente. Ma oltre al carattere di condizionare l’altro per affermare la superiorità su di lui, è l’aspetto correttivo e di incitamento a cambiare a essere focalizzato da Giorgio, con l’esempio delle provocazioni che caratterizzano il gap generazionale, e i rapporti tra padre e figlio. 

Dalla discussione emerge l’aspetto duplice della provocazione che può essere generata dall’odio reciproco di due persone o di due gruppi ostili e essere finalizzata a demolire l’avversario o può, al contrario, essere dettata dall’amore, per uscire dalla rigidità di comportamenti abitudinari e poco autentici. 

Namyar chiede di tradurre per un partecipante una sintesi della discussione e poi, su suggerimento di Azalen, Giorgio legge un brano del capitolo IV de I promessi sposi dopo averlo spiegato all’uditorio. 

Il brano mostra il lato pretestuoso e banale della provocazione, radicata nell’arroganza e nella voglia di prevalere a tutti i costi, ma soprattutto le sue conseguenze tragiche. E’ il passo celebre del duello tra Lodovico, figlio di un mercante, e un nobile soverchiatore di professione, scatenato dal diritto di precedenza sulla strada che i due percorrono provenendo da direzioni opposte. 
Da I promessi sposi di Alessandro Manzoni (IV Capitolo) 
Andava un giorno per una strada della sua città, seguito da due bravi, e accompagnato da un tal Cristoforo, altre volte giovine di bottega e, dopo chiusa questa, diventato maestro di casa. Era un uomo di circa cinquant'anni, affezionato, dalla gioventù, a Lodovico, che aveva veduto nascere, e che, tra salario e regali, gli dava non solo da vivere, ma di che mantenere e tirar su una numerosa famiglia. Vide Lodovico spuntar da lontano un signor tale, arrogante e soverchiatore di professione, col quale non aveva mai parlato in vita sua, ma che gli era cordiale nemico, e al quale rendeva, pur di cuore, il contraccambio: giacché è uno de' vantaggi di questo mondo, quello di poter odiare ed esser odiati, senza conoscersi. Costui, seguito da quattro bravi, s'avanzava diritto, con passo superbo, con la testa alta, con la bocca composta all'alterigia e allo sprezzo. Tutt'e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico (notate bene) lo strisciava col lato destro; e ciò, secondo una consuetudine, gli dava il diritto (dove mai si va a ficcare il diritto!) di non istaccarsi dal detto muro, per dar passo a chi si fosse; cosa della quale allora si faceva gran caso. L'altro pretendeva, all'opposto, che quel diritto competesse a lui, come a nobile, e che a Lodovico toccasse d'andar nel mezzo; e ciò in forza d'un'altra consuetudine. Perocché, in questo, come accade in molti altri affari, erano in vigore due consuetudini contrarie, senza chefosse deciso qual delle due fosse la buona; il che dava opportunità di fare una guerra, ogni volta che una testa dura s'abbattesse in un'altra della stessa tempra. 

Lodovico non cede il passo all’altro facendo valere il suo diritto di mantenersi sul lato destro, mentre l’altezzoso nobile gli replica il suo diritto a procedere radente il muro, sulla base del censo; dalle parole si passa alle spade, nello scontro che ne segue un fedele servitore muore. 

Lodovico accecato dall’ira, uccide il nobiluomo che non aveva mai conosciuto ma che gli era cordiale nemico giacché - dice il Manzoni - è uno dei vantaggi di questo mondo quello di odiare e di essere odiati senza conoscersi. 

Simone, scherzosamente fa l’esempio di quanto avviene ancora oggi a Brera, dove c’è la rizzata lombarda, un tipo di pavimentazione costituito da acciottolato intervallato da guide, che servivano per le carrozze. Le donne vanno dritte sulla lastra di granito e rischiano di andare in uno scontro frontale pur di non spostarsi sui ciottoli appuntiti. 

La discussione si perde, ma tutti sono concordi nel ritenere che spesso alla base di gravi conflitti ci sono futili motivi e i provocatori son a volte persone insospettabili. 

Simone parla di scatti d’ira, scaturiti da un’aggressività latente in tutti gli individui e Namyar sostiene che sono lo scarico di una tensione accumulata. 

La discussione si è protratta e non si è arrivati a scandagliare le origini del fenomeno e le strategie per affrontarlo. 

Prima di salutarsi Giorgio recita un brano tratto da Romeo e Giulietta di W. Shakespeare. E’ l’esempio di una sfida lanciata da un servitore dei Capuleti ai servitori della famiglia dei Montecchi degenerata in una rissa nella quale rimangono coinvolti i partigiani delle due famiglie rivali e gli stessi cittadini di Verona. 

Come una scintilla appicca a volte un grande fuoco, anche nella scena dell’atto primo da una piccola provocazione divampa un incendio fomentato dall’odio. 
Romeo e Giulietta - Atto I Scena I
GREGORIO (...) tira fuori quell’arnese, che arriva gente di Casa Montecchi.  
SANSONE Io la mia lama l’ho bell’e snudata. Attacca tu per primo. Io ti spalleggio. 
GREGORIO “Spalleggio”… che vuoi dire? Mi rivolgi le spalle e te ne scappi? 
SANSONE No, non temere. 
GREGORIO Eh, di te ho paura. 
SANSONE Restiamo dalla parte della legge, lascia che siano loro a cominciare. 
GREGORIO Io gli passo davanti, e gli faccio gli occhiacci del dispetto. E la prendano pure come vogliono. 
SANSONE La prenderanno come avranno il fegato. Io gli faccio gli occhiacci, mi mordo il pollice in faccia a loro, e lo faccio schioccare, ch’è un insulto. E se la prendon male, tanto meglio. (Fa il gesto di mordersi il pollice) 
ABRAMO Per noi ti mordi il pollice, compare? 
SANSONE Io sì, mi mordo il pollice. 
ABRAMO Ti sto chiedendo s’è verso di noi che te lo mordi. Rispondimi a tono. 
SANSONE (A Gregorio, a parte) Se rispondo di sì, sto nella legge? 
GREGORIO (A Sansone, a parte) No.
SANSONE No, compare. Se mi mordo il pollice, non è per voi. Però mi mordo il pollice. Ma non vorrete mica attaccar briga? 
ABRAMO Briga, noi? No. 
SANSONE Ma se n’aveste l’uzzolo, io sono a vostra piena discrezione. Il mio padrone vale quanto il vostro. 
ABRAMO Ma non di più. 
SANSONE D’accordo. 
GREGORIO (A Sansone, a parte) Di’ “di più”, 
SANSONE Vale di più, sissignore! 
ABRAMO Tu menti! 
SANSONE Fuori le spade, se siete degli uomini! Gregorio, pronto con il tuo fendente.
Il tempo dell’incontro è trascorso e non c’è la possibilità di soffermarsi sulle strategie comunicative che il drammaturgo rappresenta magistralmente. I saluti e gli auguri pongono termine a questa sessione del libroforum con il proposito di ritrovarsi tra due settimane.

* I nomi dei detenuti sono di fantasia

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